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se ne rodeva in sè stesso. Guardava ai circostanti; erano tutte facce spente, interriate, con occhi attoniti, abbacinati, colle labbra penzoloni; tutta gente con certi abiti che cadevano a brani; e dagli squarci apparivano macchie e buboni. “Largo canaglia!” si figurava egli di gridare, guardando alla porta che era lontano lontano, e accompagnando il grido con atti minacciosi del volto, senza far nessuna mossa però, anzi ristringendosi nella persona, per non toccare quei sozzi corpi, che già lo toccavano anche troppo da ogni banda. Ma niuno di quegli insensati pareva muoversi, nè manco avere inteso; anzi gli stavano più addosso: e sopra tutto gli sembrava che qualcuno di coloro, colle gomita o con che che altro, lo premesse al lato sinistro, tra il cuore e l’ascella, dove sentiva una puntura dolorosa e come pesante. E se si storceva, per cansarsi da quella molestia, subito un nuovo non so che veniva a pontarglisi al luogo medesimo. Infuriato, volle por mano alla spada; e appunto gli parve che, per la stretta, ella gli fosse montata su lungo la vita, e fosse il pome di essa che lo calcasse in quel luogo; ma, cacciandovi la mano, non trovò la spada; e, al suo tocco stesso, sentì una fitta più forte. Strepitava, ansava e