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dov’egli, entrato cogli altri, aveva trovato amenità e orrori, deserti e giardini, caverne e sale; e in esse, fantasime sedute a consiglio. Finalmente gli erano state mostrate grandi casse di danaro, e detto che ne pigliasse quanto gli fosse in piacere, se insieme voleva accettare un vasello d’unguento, e andar con quello ugnendo per la città. Il che avendo egli ricusato di fare, s’era trovato in un istante al luogo donde era stato preso. Questa storia, creduta qui generalmente nel popolo e, al dire del Ripamonti, non abbastanzà derisa da molti savii1, corse per tutta Italia e fuori: in Germania se ne fece un disegno in istampa: l’elettore arcivescovo di Magonza chiese per lettera al cardinal Federigo, che cosa si dovesse credere dei portenti che si narravano di Milano, e n’ebbe in risposta ch’erano sogni.

D’egual valore, se non in tutto d’egual natura, erano i sogni dei dotti; come disastrosi del pari ne erano gli effetti. Vedevano i più di loro l’annunzio e la ragione insieme dei guai, in una cometa apparsa l’anno 1628, e in una congiunzione di Saturno con Giove; “inclinando,” scrive il Tadino,

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