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quante più persone fosse lor venuto fatto. Ma, come questo non sembrava mezzo bastante nè appropriato, ad una mortalità così vasta e così diffusa in ogni ordine; come, a quel che pare, non era stato possibile, nè anche all’occhio così attento e pur così travedente del sospetto, scernere untumi, macchie di sorta in sul passaggio; si ricorse, per la spiegazione del fatto, a quell’altro trovato già vecchio e ricevuto allora nella scienza comune d’Europa, delle polveri venefiche e malefiche; si disse che polveri tali, sparse pel lungo della via e principalmente ai luoghi delle pose, si fossero attaccate agli strascichi delle vesti, e meglio ai piedi, che in gran numero erano quel dì andati in volta scalzi. “Vide pertanto” dice uno scrittore contemporaneo1, “l’istesso giorno della processione la pietà a cozzar con l’empietà, la perfidia con la sincerità, la perdita con l’acquisto.” Ed era in quella vece il povero senno umano che cozzava coi fantasmi creati da sè.
Da quel dì, la furia del contagio andò sempre crescendo: in breve non v’ebbe quasi più casa che non fosse tocca; in breve la popo-
- ↑ Agostino Lampugnano, La pestilenza seguita in Milano, l’anno 1630. Milano 1634, pag. 44.