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Tre giorni furono spesi in preparamenti: l’undici di giugno, che era il destinato, la processione si mosse, in sull’alba, dal duomo. Andava innanzi una lunga schiera di popolo, donne la più parte, coperte il volto d’ampii zendadi, molte scalze e vestite di sacco. Venivano poi le arti, precedute dai loro confaloni, le confraternite, in abiti varii di fogge e di colori; poi le fraterie, poi il clero secolare, ognuno colle insegne del grado, e portando un cero acceso. Nel mezzo, tra il chiarore di più spesse faci, tra un romor più alto di canti, sotto un ricco baldacchino, procedeva l’arca, sostenuta a vicenda da quattro canonici, parati in gran pompa. Dai lati di cristallo, traspariva il venerato cadavere, ravvolte le membra di splendidi abiti pontificali, mitrato il teschio; e tra le forme mutilate e scomposte, si poteva ancora distinguere qualche vestigio dell’antico sembiante, quale lo rappresentano le immagini, quale alcuni si ricordavano di averlo veduto e onorato vivente. Dietro alla spoglia del morto pastore (dice il Ripamonti1, da cui principalmente togliamo questa descrizione), e prossimo a lui, come di meriti e di sangue e di dignità, così

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