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Il buon prelato rifiutò, per molte ragioni. Gli spiaceva quella fiducia in un mezzo arbitratrio, e temeva che, se l’effetto non avesse corrisposto, come pure temeva, la fiducia si cangiasse in iscandalo1. Temeva di più, che, se pur c’era di questi untori, la processione fosse una troppo comoda occasione al delitto: se non ce n’era, un tanto adunamento per sè non poteva che spandere sempre più il contagio: pericolo ben più reale2. Chè il sospetto sopito delle unzioni s’era intanto ridestato, più generale e più furioso di prima.

S’era di nuovo veduto, o questa volta era paruto di vedere, unte muraglie, porte di edifizii publici, usci di case, martelli. Le novelle di tali scoperte volavano di bocca in bocca; e, come più del solito accade nelle grandi preoccupazioni, l’udire faceva l’effetto che avrebbe potuto fare il vedere. Gli animi, ognor più amareggiati dalla presenza dei mali, irritati dalla insistenza del pericolo, abbracciavano più volentieri quella credenza: chè l’ira ago-

  1. Memoria delle cose notabili successe in Milano intorno al mal contaggioso l’anno 1630, etc. raccolte da D. Pio la Croce, Milano, 1730. È tratta evidentemente da scritto inedito di autore vissuto al tempo della pestilenza; se pure non è una semplice edizione, piuttosto che una nuova compilazione.
  2. Si unguenta scelerata et unctores in urbe essent... Si non essent.... Certiusque adeo malum. Ripamonti, pag. 185