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come abbiam detto, di quelli che non vedevano in quel fatto altro che una malvagia corbellatura, e l’attribuivano a scolari, a signori, ad uficiali che si annoiassero all’assedio di Casale. Il non veder poi, come per avventura s’era temuto, che ne seguisse a dirittura un infettamento, un eccidio universale, fu probabilmente cagione che quel primo spavento s’andasse per allora acquietando, e la cosa fosse o paresse posta in non cale.

V’era del resto un certo numero di persone non ancora persuase che peste vi fosse. E perchè, tanto nel lazzeretto, che per la città, alcuni pur ne guarivano, “si diceua,” (gli ultimi argomenti d’una opinione battuta dall’evidenza sono sempre curiosi a sapersi) “si diceua dalla plebe, et ancora da molti medici partiali, non essere vera peste, perchè tutti sarebbero morti1.” Per togliere ogni dubbio, trovò il tribunale della Sanità uno spediente congenere al bisogno, un modo di parlare agli occhi, quale i tempi potevano richiederlo o suggerirlo. In uno de’ giorni festivi della Pentecoste, usavano i cittadini concorrere al cimitero di san Gregorio, fuori di porta orientale, a pregare pei morti

  1. Tadino, pag. 93.