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almeno puoco dalla Città, con la sua industria et prudenza haueuano mantenuto nel Lazaretto tante migliaia de poueri.1

Anche nel publico, quella caparbieria del negare la peste andava naturalmente cedendo e perdendosi, a misura che il morbo si diffondeva, e si diffondeva, a occhi veggenti, per via del contatto e della pratica; e tanto più quando, dopo esser qualche tempo rimasto soltanto fra i poveri, cominciò a toccar persone più conosciute. E fra queste, come allora fu il più notato, così merita anche adesso una espressa menzione il protofisico Settala. Avranno detto almeno: il povero vecchio aveva ragione? Chi lo sa? Caddero infermi di peste, egli, la moglie, due figliuoli, sette persone di servizio. Egli e uno de’ figliuoli ne uscirono salvi; il resto morì. “Questi casi,” dice il Tadino, “occorsi nella Città in case Nobili, disposero la Nobiltà, et la plebe a pensare, et gli increduli Medici, et la plebe ignorante et temeraria comminciò stringere le labra, chiudere li denti, et inarcare le ciglia2.”

Ma i rivolgimenti, ma le riprese, ma le vendette, per dir così, della caparbietà con-

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