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di palpitazioni, di letargo, di delirio, con quelle divise funeste di lividori e di buboni; morti per lo più celeri, violente, non di rado repentine, senza alcun precedente indizio di malattia. I medici opposti alla opinione del contagio, non volendo ora confessare ciò che avevano deriso, e dovendo pur dare un nome generico al nuovo malore, divenuto troppo comune e troppo palese per andarne senza, trovarono quello di febbri maligne, di febbri pestilenti: miserabile transazione, anzi trufferìa di parole, e che pur faceva gran danno; perchè, mostrando di riconoscere la verità, riusciva ancora a far discredere ciò che più importava di credere, di vedere, che il male si appigliava per via di contatto. I magistrati, come chi si risente da un alto sonno, principiarono a dare un po’ più orecchio ai richiami, alle proposte della Sanità, a tener mano a’ suoi editti, ai sequestri ordinati, alle quarantene prescritte da quel tribunale. Domandava esso anche di continuo danari, per supplire alle spese quotidiane, crescenti del lazzeretto, di tanti altri servigi; e li domandava ai decurioni, intanto che fosse deciso (che non fu, credo, mai, se non col fatto) se tali spese incumbessero alla città, o all’erario regio. Ai decurioni faceva pure istanza il gran