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suoi malati, cominciò a farglisi gente attorno, gridando esser lui il capo di coloro che volevano per forza che ci fosse la peste, lui che metteva in ispavento la città, con quel suo cipiglio, con quella sua barbaccia: tutto per dar faccenda ai medici. La folla e la furia andavano crescendo: i portantini, vedendo la mala parata, ricoverarono il padrone in una casa amica, che per sorte era vicina. Questo gli toccò, per aver veduto chiaro, detto ciò che era, e voluto salvar dalla peste molte migliaia di persone: quando, con un suo deplorabile consulto, cooperò a far martoriare, tanagliare, e ardere per istrega una povera infelice sventurata, perchè un padrone di essa pativa dolori strani di stomaco, e un altro padrone di prima era stato fortemente innamorato di lei1, allora ne avrà avuta presso l’universale nuova lode di sapiente e, ciò che è intollerabile a pensare, nuovo titolo di benemerito.

Ma sul finire del marzo, cominciarono, prima nel borgo di porta orientale, poi in ogni quartiere della città, a spesseggiare le malattie, le morti, con accidenti strani di spasimi,

  1. Storia di Milano del Conte Pietro Verri: Milano 1825, Tom. 4. pag. 155.