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“della Nobiltà, delli Mercanti et della Plebe1,” persuasi, com’erano tutti, ch’elle fossero vessazioni senza causa e senza costrutto. L’odio principale cadeva sui due medici, il nostro ricantato Tadino e Senatore Settala, figlio del protofisico: a tale, che ormai non potevano essi attraversare i mercati, senza essere assaliti di male parole, quando non erano pietre. E certo ella fu singolare e merita un ricordo la condizione in cui, per qualche mese, si trovarono quegli uomini, di veder venire innanzi un orribile flagello, d’affaticarsi per ogni via a stornarlo, di trovare, oltre l’arduità della cosa, ostacoli da ogni parte nelle volontà, e di essere insieme bersaglio delle grida, aver voce di nemici della patria: pro patriae hostibus, dice il Ripamonti2.

A parte dell’odio erano ancora gli altri medici che, convinti com’essi della realtà del contagio, suggerivano precauzioni, cercavano di comunicare altrui la loro dolorosa certezza. I più discreti li tacciavano di corrività e di ostinazione: pei più, ell’era evidentemente impostura, cabala ordita, per far bottega sul publico spavento.

  1. Tadino, pag. 73.
  2. Pag 251.