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si riseppero i primi casi di mal contagioso, ingiunse con lettera pastorale ai parochi, fra le altre cose, che inculcassero ai popoli l’importanza e l’obbligo di rivelare ogni simile accidente, e di consegnare le robe infette o sospette1: e anche questa può essere contata fra le sue lodevoli singolarità.

Il tribunale della sanità sollecitava provedimenti, cooperazione: tutto era presso che invano. E nel tribunale stesso, la premura era ben lungi dall’adeguare l’urgenza: erano, come afferma più volte il Tadino, e come appare ancor meglio da tutto il contesto della sua narrazione, i due fisici che, persuasi e compresi della gravità e della imminenza del pericolo, stimolavano quel corpo, il quale aveva poi a stimolare gli altri.

Abbiamo già veduto come, ai primi annunzii della peste, andasse freddo nell’operare, anzi nell’informarsi: ecco ora un altro fatto di lentezza non men portentosa, se però non era forzata, per ostacoli frapposti da magistrati superiori. Quella grida per le bullette, risoluta ai 30 di ottobre, non fu conchiusa che ai 23 del mese seguente, non fu

  1. Vita di Federigo Borromeo, compilata da Francesco Rivola. Milano, 1666, pag. 584.
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