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Ma ciò che, lasciando intero il biasimo, scema la maraviglia di quel suo contegno, ciò che fa nascere un’altra e più forte maraviglia, è il contegno della popolazione medesima, di quella, voglio dire, che, non tocca ancora dal contagio, aveva tanta ragione di temerlo. Al giungere di quelle novelle dei paesi che ne erano così malamente imbrattati, di paesi che formano attorno alla città quasi una linea semicircolare, in alcuni punti non più distante da essa che venti, che diciotto miglia; chi non crederebbe che vi si suscitasse un commovimento generale, un affaccendamento di precauzioni bene o male intese, almeno una sterile inquietudine? Eppure, se in qualche cosa le memorie del tempo vanno d’accordo, è nell’attestare che non ne fu nulla. La penuria dell’anno antecedente, le angherie della soldatesca, le afflizioni d’animo, parvero più che bastanti a render ragione della mortalità: nei trivii, nelle botteghe, nelle case, chi gittasse un motto del pericolo, chi motivasse peste, veniva accolto con beffe incredule, con disprezzo iracondo. La medesima miscredenza, la medesima, per dir meglio, cecità e pervicacia prevaleva nel senato, nel Consiglio dei decurioni, in ogni magistrato.

Trovo che il cardinal Federigo, tosto che