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sviscerati di don Abbondio e i complimenti di Perpetua, se gli immagini il lettore. Partirono; fecero, secondo il convenuto, una fermatina, ma così in piedi, alla casa del sarto, dove sentirono raccontar cento cose del passaggio: la solita storia di ruberie, di percosse, di sperpero, di sporcizia: ma quivi per buona sorte non s’eran veduti lanzichenecchi.
“Ah signor curato!” disse il sarto, dandogli braccio a rimontare in carrozza: “s’ha da far dei libri in istampa, sopra un fracasso di questa sorta.”
Dopo un altro po’ di strada, cominciarono i nostri viaggiatori a veder cogli occhi loro qualche cosa di quello che avevan tanto inteso descrivere: vigne spogliate, non come dalla vindemmia, ma come dalla gragnuola e dalla bufera che fossero venute in compagnia: tralci a terra, stramenati e calpestati; strappati i pali, scalpitato il terreno e sparso di schegge, di foglie, di sterpi; schiantati, scapezzati alberi; sforacchiate le siepi; i cancelli portati via. Nelle terre poi, usci spezzati, impannate lacere, strame, cenci, frantumi, a mucchio o seminati per lo spazzo delle vie; un’aria greve, fumi di lezzo più profondo che uscivano delle case; i paesani, chi a scopar fuora immondizie, chi a riparar le