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a fuggire, in ogni modo di fuga, in ogni luogo di rifugio vedeva ostacoli insuperabili e pericoli spaventosi. “Come fare?” sclamava: “dove andare?” I monti, lasciando stare la difficoltà del cammino, non eran sicuri: già s’era saputo che i lanzichenecchi vi s’arrampicavano come gatti, dove appena avessero indizio o speranza di far preda. Il lago era grosso; tirava un gran vento: oltracciò, la più parte de’ barcaiuoli, temendo d’esser forzati a condurre soldati o bagaglie, s’erano rifuggiti, colle loro barche, all’altra riva: alcune poche rimaste, erano poi partite stracariche di gente; e, travagliate dal peso e dalla burrasca, si diceva che pericolassero ad ogni momento. Per portarsi lontano e fuori della strada che l’esercito aveva a percorrere, non era possibile trovar nè un calesse, nè un cavallo, nè alcun altro mezzo: a piedi, don Abbondio non avrebbe potuto far troppo cammino, e temeva d’esser raggiunto in via. I confini del bergamasco non erano tanto distanti, che le sue gambe non ve lo potessero portare in una tirata; ma era già corsa la voce, essere stato spedito in fretta da Bergamo uno squadrone di cappelletti che costeggiasse il confine, per tenere in rispetto i lanzichenecchi; e quelli erano diavoli in carne, nè più nè meno di