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do di dì in dì, si protrasse però fin dentro nell’autunno. Ell’era in sul finire; quand’ecco un nuovo flagello.

Molte cose importanti, di quelle a cui più specialmente si dà titolo di storiche, erano accadute in questo frattempo. Il cardinale di Richelieu, presa, come s’è detto, la Roccella, abborracciata alla meglio una pace col re d’Inghilterra, aveva proposto e vinto colla sua potente parola, nel Consiglio di quello di Francia, che si soccorresse efficacemente il duca di Nevers; e aveva insieme persuaso il re medesimo a condurre in persona la spedizione. Mentre si facevano gli apparecchi, il conte di Nassau, commissario imperiale, intimava in Mantova al nuovo duca, che desse gli stati in mano a Ferdinando, o questi manderebbe un esercito ad occuparli. Il duca che, in più disperate circostanze, s’era schermito d’accettar condizione così dura e così mal fidata, confortato ora dal vicino soccorso di Francia, se ne schermiva tanto più; però con termini in cui il no fosse ravvolto e allungato, quanto si poteva, e con proposte di sommessione, anche più apparente, ma meno costosa. Il commissario se n’era andato, protestandogli che si verrebbe alla forza. In marzo, il cardinale Richelieu era poi sceso di fatto col re,