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men prolungate di quella) che vi avesse luogo un vero contagio, il quale nei corpi affetti e preparati dal disagio e dalla malvagità degli alimenti, dalla intemperie, dal sudiciume, dal travaglio e dall’avvilimento trovi la tempera, a così dire, e la stagione sua propria, le condizioni necessarie in somma per nascere, nutricarsi e moltiplicare (se ad un ignorante è lecito lanciare queste parole, dietro l’ipotesi proposta da alcuni fisici e riproposta in ultimo con molte ragioni e con molta riserva, da uno diligente quanto ingegnoso1: sia poi che il contagio scoppiasse da prima nel lazzeretto medesimo, come, da una oscura ed inesatta relazione, par che pensassero i medici della Sanità; sia che vivesse e andasse covando prima d’allora, (il che sembra forse più verisimile, chi pensi come il disagio era già antico e generale e la mortalità già frequente) e che portato là entro vi si propagasse con nuova e terribile rapidità, per la condensazione dei corpi, renduti anche più disposti a riceverlo dalla cresciuta efficacia delle altre cagioni. Qualunque di queste congetture sia la vera, il numero quotidiano dei

  1. Del morbo petecchiale.... e degli altri contagi in generale, opera del dott. F. Enrico Acerbi, Cap. III, § 1 e 2.