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petto; onde adunghiarlo poi a notte affatto quieta, o il domani. Udite quattro parole di quella predica di Renzo, colui gli aveva fatto tosto assegnamento addosso; parendogli quello un reo buon uomo, proprio il caso. Trovandolo poi nuovo affatto del paese, aveva tentato il colpo maestro di condurlo caldo caldo alle carceri, come all’albergo più sicuro della città: ma gli venne fallito, come avete inteso. Potè però portare a casa la notizia sicura del nome, cognome e patria, oltre cento altre belle notizie congetturali; di modo che, quando l’oste giunse quivi a dir ciò che egli sapeva di Renzo, già ne sapevano più di lui. Entrò egli nella solita stanza, e fece la sua deposizione: come era giunto ad albergare da lui un forestiere, che non aveva mai voluto manifestare il suo nome.
“Avete fatto il vostro dovere a darcene avviso,” disse un notaio criminale, ponendo giù la penna: “ma già lo sapevamo.”
– Bel mistero! – pensò l’oste: – ci vuole una grande abilità! –
“E sappiamo anche,” continuò il notaio, “quel riverito nome.”
– Diavolo! il nome mo, come hanno fatto? – pensò l’oste questa volta.
“Ma voi,” ripigliò l’altro, con volto serio, “voi non dite tutto sinceramente.”