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bottoni dei panni che non s’era ancor potuto cavar di dosso.
“Be’,” replicò l’oste: “saldate ora dunque quel poco conticino; perchè domani io debbo uscire per certe mie faccende.....”
“Questo è giusto,” disse Renzo. “Son furbo, ma galantuomo..... Ma i danari? Adesso mo, andare a cercare i danari....!”
“Sono qui,” disse l’oste: e mettendo in opera tutta la sua pratica, tutta la sua pazienza, tutta la sua destrezza, venne a capo di aggiustar la partita, e di riporre lo scotto.
“Dammi una mano a finir di spogliarmi, oste,” disse Renzo. “Capisco anch’io, ve’, che ho addosso un gran sonno.”
L’oste gli prestò l’uficio richiesto; gli stese per soprappiù la coltre addosso, e gli disse dispettosamente “buona notte”, che già quegli russava. Poi, per quella specie di attrattiva, che alle volte ci tiene a considerare un oggetto di stizza al pari che un oggetto di amore, e che forse non è altro che il desiderio di conoscere ciò che opera fortemente sull’animo nostro, si fermò un momento a contemplare l’ospite così per lui fastidioso, levandogli la lucerna sul volto, e facendovi con la palma stesa ribatter sopra la luce; in quell’atto a un dipresso che vien dipinta Psiche,