Pagina:I promessi sposi (1825) II.djvu/70

68


Il discorso di Renzo aveva anche questa volta attirata l’attenzione della brigata: e quando egli ebbe fatto fine, sorse un mormorìo di favore generale.

“Che cosa ho da fare?” disse l’oste, guardando a quello sconosciuto, che non era tale per lui.

“Via, via,” gridarono molti di quei compagnoni: “ha ragione quel forese: sono angherie, trappolerie, gabelle: legge nuova oggi, legge nuova.”

In mezzo a queste grida, lo sconosciuto, lanciando all’oste uno sguardo di rimprovero per quella interpellazione troppo palese, disse: “lasciatelo un po’ fare a suo modo, non fate scandali.”

“Ho fatto il mio dovere,” disse l’oste ad alta voce; e tra sè: — adesso ho le spalle al muro. — Prese la carta, la penna, il calamaio, la grida, e il fiasco voto, per consegnarlo al garzone.

“Reca di quel medesimo,” disse Renzo: “che lo trovo galantuomo; e lo porremo a dormire come l’altro, senza domandargli nome e cognome, e che cosa viene a fare, e se ha da stare un pezzo in questa città.”

“Di quel medesimo,” disse l’oste al garzone, dandogli il fiasco; e tornò a sedere sotto