Pagina:I promessi sposi (1825) II.djvu/47


45

e posta la manca mano al petto, gridò: “pane e giustizia;” e franco, ritto, togato, discese, fra le acclamazioni che ne andavano alle stelle.

Quei di dentro intanto avevano aperta la porta, o per meglio dire, avevano finito di strappare il catenaccio insieme cogli anelli già traballanti. Fecero spiraglio, per dare l’entrata al desideratissimo ospite, ponendo però una gran cura a ragguagliar l’apertura allo spazio che poteva occupare la sua persona. “Presto, presto,” diceva egli; “aprite bene, ch’io entri: e voi, da bravi, ritenete la gente; non mi lasciate venire addosso..... per amor del cielo! Preparate un po’ di passaggio per adesso adesso..... Ehi! ehi! signori, un momento,” diceva poi ancora a quei di dentro: “adagio con quell’imposta, lasciatemi passare: eh! le mie coste, raccomando le coste. Chiudete ora: no, eh! eh! la toga, la toga!” Ella sarebbe rimasta acchiappata fra le imposte, se Ferrer non ne avesse ritirato con molta disinvoltura lo strascico, che sparve come la coda d’una biscia, che si rimbuca inseguita.

Le imposte risospinte e rabbattute alla meglio, venivano intanto appuntellate per di dentro con istanghe. Al di fuori, quei che si