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Infatti, all’estremità della folla, dal lato opposto a quello dove stavano i soldati, era giunto in carrozza Antonio Ferrer, il gran cancelliere; il quale, facendosi probabilmente coscienza di avere, co’ suoi spropositi e colla sua caparbietà, dato cagione o almeno occasione a quella sommossa, veniva ora a cercar di ammansarla, e di stornare almeno il più terribile ed irreparabile effetto: veniva a spender bene una popolarità male acquistata.

Nei tumulti popolari v’ha sempre un certo numero d’uomini, che, o per un riscaldamento di passione, o per una persuasione fanatica, o per un disegno scellerato, o per un maladetto gusto del soqquadro, fanno il potere per ispinger le cose al peggio; propongono o promuovono i più dispietati consigli, soffiano nel fuoco ogni volta ch’ei sembra dare un po’ giù: nulla è mai troppo per costoro; non vorrebbero che il tumulto avesse nè modo nè fine. Ma per contrappeso, v’ha pur sempre un certo numero d’altri uomini che, forse con pari ardore e con insistenza pari, s’adoperano all’effetto contrario: taluni portati da amicizia o da parzialità per le persone minacciate; altri senza altro impulso che d’un pio e spontaneo orrore del sangue e dei fatti atroci. Il cielo li benedica. In ciascheduna di queste due parti

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