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cercano di confondere quelle voci nemiche e omicide. Ma ciò che più di tutto lo servì fu un “largo, largo,” che si udì gridar lì vicino: “largo! è qui l’aiuto: largo, ohe!”

Che era egli? Era una lunga scala a piuoli, che alcuni portavano, per appoggiarla alla casa, ed entrarvi per una finestra. Ma per buona ventura, quel mezzo, che avrebbe renduta la cosa facile, non era facile esso a mettere in opera. I portatori, all’uno e all’altro capo, qua e la pel lungo della macchina, urtati, scompaginati dalla calca, andavano a onde: quale, colla testa fra due scalini e gli staggi sulle spalle, oppresso come sotto un giogo squassato, mugghiava; quale veniva staccato dal carico con uno spintone; la scala abbandonata picchiava teste, spalle, braccia: pensate che cosa dovevano dire coloro di cui erano. Altri sollevano colle mani il peso morto, vi si fanno sotto, lo si recano addosso, gridando “a noi, andiamo!” La macchina fatale procede a balzi a rivolte, per dritto e per isbieco. Ella venne a tempo a distrarre e a sgominare i nemici di Renzo, il quale approfittò della confusione nata nella confusione; e quatto quatto sul principio, poi giuocando di gomita a più non posso, si allontanò da quel posto dove non era buon’aria per lui,