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Si entra nella valle. Come stava allora il povero don Abbondio! Quella valle famosa della quale aveva inteso raccontar tante nere, orribili storie, esservi dentro: quei famosi uomini, il fiore della braverìa d’Italia, quegli uomini senza paura e senza misericordia vederli in carne ed ossa, incontrarne uno o due o tre a ogni volta di canto. Si chinavano sommessamente al signore; ma certi visi abbronzati! certi mustacchi irsuti! certi occhiacci, che a don Abbondio sembrava volesser dire: fargli la festa a quel prete? Tanto che, in un punto di somma costernazione, scappò a pensare: — gli avessi maritati! di peggio non mi poteva accadere. — Intanto s’andava innanzi, per un sentiero ghiaioso, lungo il torrente: al di là quel prospetto di balze erme e ferrigne; al di qua quella popolazione da far parere desiderabile ogni deserto: Dante non istava peggio nel mezzo di Malalebolge.

Si passa davanti la Malanotte; bravacci in su l’uscio, inchini al signore, occhiate al suo compagno e alla lettiga. Coloro non sapevano che si pensare: già la partenza dell’innominato soletto alla mattina aveva dello straordinario; il ritorno non lo era meno. Era una preda ch’egli conduceva? E come l’aveva fatta da per sè? E come una lettiga

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