Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
311 |
Abbondio, facendo una gran riverenza ad entrambi in comune.
L’arcivescovo andò innanzi, sospinse le imposte, le quali furono tosto spalancate per di fuori da due famigliari, che vi stavano ai lati: e la mirabile coppia apparve agli sguardi bramosi del clero raccolto nella stanza. Si videro quei due volti sui quali era dipinta una commozione diversa, ma egualmente profonda: una tenerezza riconoscente, una umile gioia su le forme venerabili di Federigo; su quelle dell’innominato una confusione temperata di conforto, un nuovo pudore, una compunzione, dalla quale però traspariva tuttavia il vigore di quella selvaggia e risentita natura. E si seppe di poi che a più d’uno dei risguardanti era allor sovvenuto quel d’Isaia: il lupo e l’agnello andranno ad un pascolo; il leone e il bue strameggeranno insieme. Dietro veniva don Abbondio, a cui nessuno badò.
Quando furono al mezzo della stanza, entrò dall’altra parte l’aiutante di camera del cardinale, e gli si accostò a riferire che aveva eseguiti gli ordini comunicatigli dal cappellano; che la lettiga e le due mule erano in pronto, e si aspettava soltanto la donna che il curato avrebbe condotta. Il cardinale gli disse che, al giugner di questo, avvertisse