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le braccia, pontava la pugna, come se volesse tener ferma la porta.... Del resto, quel che facesse così appuntino non si può sapere, giacchè egli era solo; e la storia è costretta a indovinare. Fortuna che la c’è avvezza.

Renzo questa volta si trovava nel forte del subuglio, non già portatovi dalla piena ma cacciatovisi deliberatamente. A quella prima proposta di sangue, aveva sentito il suo tutto rimescolarsi: quanto al saccheggio egli non era ben risoluto se fosse bene o male in quel caso; ma l’idea del macello gli cagionò un orrore pretto e immediato. E quantunque, per quella funesta docilità degli animi appassionati, all’affermare appassionato di molti, egli fosse persuasissimo che il vicario era la cagione primaria della fame, il gran colpevole, pure, avendo, al primo muoversi della turba, udito a caso qualche motto che indicava lo volontà di fare ogni sforzo per salvarlo, s’era subito proposto di aiutare anch’egli una tal opera; e con quest’animo, s’era spinto fin presso quella porta, che veniva travagliata in cento modi. Altri con ciottoli pestava i chiodi della serratura per iscassinarla; altri, accorsi con pali e scarpelli e martelli, cercavano di lavorare più in regola: altri poi con pietre aguzze, con coltelli spuntati, con isferre, con chiodi, coll’ugne,