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e si ricrea nello splendore altrui; o fossero di quei prudenti che s’adombrano delle virtù come dei vizii, predicano sempre che la perfezione è posta nel mezzo, e il mezzo lo pongono giusto in quel punto dove essi sono arrivati e si trovano stare a loro agio. Egli, non che si arrendesse a quegli ufici, ma ne riprese gli uficiosi: e ciò tra la pubertà e la giovinezza.

Che, vivente il cardinal Carlo suo maggiore di ventisei anni, dinanzi a quella presenza autorevole e, per così dire, solenne, circondata da omaggi e da un silenzio rispettoso, avvalorata da tanta fama e impressa dei segni della santità, Federigo fanciullo e giovinetto cercasse di conformarsi al contegno e al talento di un tale cugino, non è certamente maraviglia; ma è ben cosa da dirsi che, dopo la morte di lui, nessuno potè accorgersi che a Federigo, allor di vent’anni, fosse mancata una guida e un censore. Il grido crescente del suo ingegno, della dottrina e della pietà, la parentela e gl’impegni di più d’un cardinale potente, il credito della sua famiglia, il nome stesso a cui Carlo aveva quasi annessa nelle menti un’idea di santità e di maggioranza sacerdotale, tutto ciò che dee, e tutto ciò che può condurre gli uomini alle