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a chiuder le finestre, come quando si vede sopravvenire un tempo nero, e s’aspetta la gragnuola da un momento all’altro. L’ululato crescente, scendendo dall’alto come un tuono, rimbomba nel voto cortile; ogni buco della casa ne rintrona: e di mezzo al vasto e rimescolato strepito s’odono scoppiare più forti e spessi i colpi di pietre alla porta.

“Il vicario! Il tiranno! L’affamatore! Lo vogliamo! vivo o morto!”

Il poveretto errava di stanza in stanza, smorto, trambasciato, battendo palma a palma, raccomandandosi a Dio, e a’ suoi servitori, che tenessero fermo, che trovassero modo di farlo scappare. Ma come, e per dove? Ascese al solaio; da un pertugio tra la soffitta e il tetto, guardò ansiosamente nella via, e la vide zeppa di furibondi; udì le voci che lo chiedevano a morte; e più smarrito che mai, si ritrasse a cercare il più sicuro e riposto nascondiglio. Quivi rannicchiato ascoltava, ascoltava, se mai l’infesto bollore s’ affievolisse, se il tumulto desse un po’ luogo; ma sentendo invece il mugghio levarsi più feroce e più strepitoso, e spesseggiare i picchii, preso da un nuovo soprassalto al cuore, si turava l’orecchie in fretta. Poi come fuori di se, strignendo i denti, e raggrinzando il viso, stendeva