Pagina:I promessi sposi (1825) II.djvu/270


267

l’altro? Che farò dopo doman l’altro? — E la notte? La notte, che tornerà fra dodici ore! Oh la notte! no, no, la notte! — E ricaduto nel vôto penoso dell’avvenire, cercava indarno un impiego del tempo, un modo di vivere i giorni, le notti. Ora si proponeva di abbandonare il castello, e di andarsene nei paesi lontani, dove non si fosse inteso parlar di lui; ma sentiva che egli, egli sarebbe sempre con sè: ora gli rinasceva una fosca speranza di ripigliar l’animo antico, le antiche voglie; e che quello fosse come un delirio passeggiero. Ora paventava il giorno, che doveva mostrarlo ai suoi così miserabilmente mutato; ora lo sospirava, come se dovesse portar la luce anche ne’ suoi pensieri. Ed ecco, appunto sull’albeggiare, pochi momenti da poi che Lucia s’era addormentata, ecco, mentre egli stava immoto a sedere, sentì arrivarsi all’orecchio come un’onda di suono non bene espresso, ma che rendeva pure non so che di festoso. Si pose in ascolto, e riconobbe uno scampanare a festa lontano; e più stando, intese pur l’eco del monte, che ad ora ad ora ripeteva languidamente il concento, e si confondeva con esso. Di lì a poco, ode un altro scampanìo più vicino, pure a festa; poi un altro. — Che allegria c’è? Di che godono tutti costoro? Che