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cate se non vi fo segno; a tenerla basto io. E zitto: lasciate parlare a me.”
Intanto la carrozza, andando tuttavia velocemente, era entrata nel bosco.
Dopo qualche tempo la povera Lucia cominciò a risentirsi come da un sonno profondo e affannoso, e aperse gli occhi. Penò alquanto a distinguere i luridi oggetti che la circondavano, a raccogliere i suoi pensieri: alfine comprese di nuovo la sua spaventosa situazione. Il primo uso che fece delle poche forze ritornatele fu di gettarsi verso lo sportello, per lanciarsi fuora; ma fu rattenuta, e non potè che vedere un momento la solitudine selvaggia del luogo per cui passava. Levò di nuovo un grido; ma il Nibbio alzando la manaccia col fazzoletto, “via,” le disse più dolcemente che potè: “state quieta, che meglio per voi: non vogliamo farvi male: ma se non tacete, noi vi faremo tacere.”
“Lasciatemi andare! Chi siete voi? Dove mi conducete? Perchè mi avete presa? Lasciatemi andare, lasciatemi andare!”
“Vi dico che non abbiate paura: non siete una bambina e dovete capire che noi non vogliamo farvi male. Non vedete che avremmo potuto ammazzarvi cento volte, se avessimo cattive intenzioni? Dunque state quieta.”