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ralaccio ch’egli credeva di sì, smontò da cavallo, e gittò le redini al Tira-dritto, uno del suo corteggio. Si tolse poi di collo lo schioppo e lo consegnò al Montanarolo, come per isgravarsi d’un peso inutile e salire più spedito; ma in realtà perchè sapeva bene, che su quell’erta non era lecito andar collo schioppo. Cavò poi di tasca alcune berlinghe, e le diede al Tanabuso, dicendogli: “voi altri state ad aspettarmi; e intanto farete un po’ di allegria con questa brava gente.” Cavò finalmente qualche scudi d’oro, e li pose in mano al caporalaccio, assegnandone la metà a lui, l’altra metà da partirsi fra i suoi uomini. Finalmente, col Griso che pure aveva deposto lo schioppo, cominciò a piede la salita. Intanto i tre bravi sopraddetti e lo Squinternotto che era il quarto (vedete bei nomi questi, da conservarceli con tanta cura) rimasero coi tre dell’innominato e con quel ragazzo allevato alle forche, a giucare, a sbevazzare e a raccontare a vicenda le loro prodezze.

Un altro bravaccio dell’innominato, che saliva, raggiunse poco dopo don Rodrigo; lo guardò, lo riconobbe, e si accompagnò con lui; e gli risparmiò così la noia di dire il suo nome, e di rendere altro conto di sè a quanti