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fare il tiranno, ma non il tiranno salvatico: la professione era per lui un mezzo, non uno scopo: voleva dimorare liberamente in città, godere i comodi, gli spassi, gli onori della vita civile; e perciò gli bisognava usar certi riguardi, tener conto delle parentele, coltivar le amicizie di personaggi graduati, avere una mano sulle bilance della giustizia, per farle all’uopo tracollare dalla sua parte, o per farle sparire, o per darle anche in qualche occasione sulla testa di qualcheduno che in quel modo si potesse aggiustar più facilmente che con l’armi della violenza privata. Ora, l’intrinsichezza, diciam meglio, una lega con un famigerato di quella sorte, con un aperto nimico della forza pubblica, non gli avrebbe certamente fatto buon giuoco a ciò, massimamente presso al conte zio. Però quel tanto d’una tale amicizia che non si poteva nascondere, poteva passare per un uficio indispensabile verso un uomo la cui inimiciza era troppo pericolosa, e così ricevere scusa dalla necessità: giacchè chi ha l’assunto di provedere, e non ne ha la voglia, o non ne trova il verso, alla lunga consente che altri provegga da sè fino ad un certo segno ai casi suoi; e se non acconsente espressamente, chiude un occhio.