Pagina:I promessi sposi (1825) II.djvu/218


215

essere un suo collegato, ogni malandrino, un de’ suoi; e l’incertezza stessa rendeva più vasta l’opinione, e più cupo il terrore della cosa. E ogni volta che in qualche parte si vedessero comparir figure di scherani incognite e più brutte dell’ordinario, ad ogni fatto enorme, di cui non si sapesse alla prima disegnare o indovinar l’autore, si proferiva, si mormorava il nome di colui, che noi, grazie a quella benedetta, per non dir altro, circospezione dei nostri scrittori, saremo costretti di chiamare l’innominato.

Dal castellaccio di costui al palazzotto di don Rodrigo non v’era più di sette miglia: e quest’ultimo, appena divenuto padrone e tiranno, aveva dovuto vedere che a così poca distanza da un tal personaggio, non era possibile far quel mestiere senza venire alle prese, o andar d’accordo con lui. Gli s’era perciò offerto e gli era divenuto amico, al modo di tutti gli altri, s’intende: gli aveva renduto più d’un servigio (il manoscritto non dice di più); e ne aveva riportate ad ogni volta promesse di ricambio e d’aiuto, in qualunque congiuntura. Poneva però molta cura a nascondere una tale amicizia, o almeno a non lasciare scorgere quanto stretta e di che natura ella fosse. Don Rodrigo voleva bensì