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che si cessasse di molestare il tal debitore, o cose simili: bisognava rispondere si o no. Quando una parte, con un omaggio vassallesco, era andata a rimettere nell’arbitrio di lui un negozio qualunque, l’altra parte si trovava a quella dura eletta o di stare alla sentenza sua, o di chiarirsi suo nemico; il che equivaleva all’essere, come si diceva altre volte, tisico in terzo grado. Molti, avendo il torto, ricorrevano a lui, per aver ragione in effetto; molti vi ricorrevano avendo ragione, per preoccupare un tanto patrocinio e chiuderne l’adito all’avversario: gli uni e gli altri divenivano più specialmente suoi dipendenti. Accadde qualche volta che un debole oppresso, angariato, amareggiato da un prepotente, si voltò a lui; ed egli, pigliate le parti del debole forzò il prepotente a rimanersi dalle offese, a riparare il torto, a discendere alle scuse; o renitente lo schiacciò, lo costrinse a sfrattar dai luoghi che aveva tiranneggiati, o gli fece anche pagare un più spedito e più terribile fio. E in questi casi, quel nome tanto temuto e abborrito era pure stato benedetto un momento: perchè, non dirò quella giustizia, ma quel rimedio, quel ricambio qualunque, nelle circostanze dei tempi, non si sarebbe potuto aspettarlo da nessun’altra forza nè privata