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signore altrettanto potente per ricchezze, quanto nobile per nascita,” senza più. Giuseppe Ripamonti, che nel quinto libro della quinta decade della sua Storia Patria, ne fa più distesa menzione, lo nomina uno, costui, colui, quest’uomo, quel personaggio. “Riferirò,” dic’egli nel suo bel latino, da cui traduciamo come ci vien fatto; “il caso di uno, che essendo dei primi fra i grandi della città, aveva stabilito in villa il suo domicilio; e quivi assicurandosi a forza di delitti, teneva per niente i giudizii, i giudici, ogni magistratura, la sovranità. Posto sull’estremo confine dello stato menava una sua vita indipendente; raccettatore di fuorusciti, fuoruscito un tempo egli stesso, poi tornato a man salva....” Da questo scrittore piglieremo in seguito qualche altro passo, che venga a taglio per confermare e per dilucidare la narrazione del nostro autore anonimo, col quale tiriamo innanzi.

Fare ciò ch’era vietato dagli ordini pubblici, o impedito da una forza qualunque; essere arbitro, padrone negli affari altrui, senza altro interesse che il gusto di comandare; esser temuto da tutti, aver la mano da coloro che erano soliti averla dagli altri; tali erano state in ogni tempo le passioni principali di

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