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edienza, e chinò la testa dinanzi al padre guardiano; il quale lo trasse poi in disparte, e gli diede quell’altro avviso, con parole di consiglio, e con significazione di precetto. Fra Cristoforo andò alla sua cella, tolse la sporta, vi ripose il breviario, il suo quaresimale, e il pane del perdono; si cinse le reni con una correggia di pelle, si accomiatò dai confratelli che si trovavano in convento, andò per ultimo a prender la benedizione del guardiano, e col compagno prese la via che gli era stata prescritta.

Abbiam detto che don Rodrigo, rinfervorato più che mai di venire a fine della sua bella impresa, s’era risoluto di cercare il soccorso d’un terribile uomo. Di costui non possiamo dare nè il cognome, nè il nome, nè un titolo, nè anche una congettura sopra niente di tutto ciò: cosa tanto più strana, che del personaggio troviamo memoria in più d’un libro (libri stampati, dico) di quel tempo. Che il personaggio sia quel medesimo, l’identità dei fatti non lascia luogo a dubitarne; ma da per tutto un grande studio a scansarne il nome, quasi avesse dovuto bruciar la penna, la mano dello scrittore. Francesco Rivola, nella vita del cardinale Federigo Borromeo, avendo a parlar di quell’uomo, lo dice “un