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spondenti. In fatti, col colloquio che abbiam riferito, egli riuscì a fare andar fra Cristoforo a piedi da Pescarenico a Rimini; che è un bel passeggio.

Una sera, giunge a Pescarenico un cappuccino di Milano, con un piego pel padre guardiano. V’è l’obbedienza per fra Cristoforo di portarsi a Rimini, dove predicherà la quaresima. La lettera al guardiano porta l’istruzione d’insinuare al detto frate che deponga ogni pensiero d’affari che potesse avere avviati nel paese da cui dee partire, e che non vi mantenga corrispondenza: il frate latore debb’essere il compagno di viaggio. Il guardiano non dice nulla la sera; al mattino, fa chiamar fra Cristoforo, gli mostra l’obbedienza, gli dice che vada a prendere la sporta, il bordone, il sudario e la cintura, e con quel padre compagno, che gli presenta, si metta poi tosto in cammino.

Se fu un colpo pel nostro frate, pensatelo. Renzo, Lucia, Agnese gli corsero tosto in mente; e sclamò, per così dire, tra sè: — Oh Dio! che faranno quei tapini, quando io non sia più qui? — Ma tosto levò gli occhi al cielo, e si accusò di aver mancato di fiducia, d’essersi creduto necessario a qualche cosa. Pose le mani in croce sul petto, in segno di obbe-