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che tempo, andava crescendo in ragione del cammino; e quantunque Renzo, quando cominciò a porvi mente sul serio, sentisse di poter reggere senza gran disagio fino al termine, che non era ormai discosto più che due miglia, pure fece riflessione che non istarebbe bene l’andare innanzi al cugino, come un pitocco, e dirgli per primo saluto: dammi da mangiare. Cavò di tasca tutte le sue ricchezze, le fece scorrer col dito su una palma, raccolse il conto. Non era conto che richiedesse una grande aritmetica: ma però vi era abbondantemente da fare un pastetto. Entrò in un’osterìa a rifocillarsi; e in fatti, pagato che ebbe, gli rimase ancor qualche soldo.

All’uscire, vide presso alla porta, giacenti nella via, che quasi vi dava dentro col piede, se non avesse posto mente, due donne, una attempata, un’altra più fresca, con un bambinello, che dopo aver succhiata invano l’una e l’altra mammella, traeva guai; tutti del colore della morte: e in piede presso a loro un uomo, a cui nel volto e nelle membra si potevano ancora scorgere i segni d’un’antica robustezza, domata e quasi spenta dal lungo disagio. Tutti e tre tesero la mano verso colui che usciva col piè franco e coll’aspetto ringagliardito: nessuno parlò; che poteva dir di più una preghiera?