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da sè; soffiò nell’una, poi nell’altra mano, le fregò, aperse l’uscio del cascinotto; e la prima cosa, diede una girata d’occhi all’intorno, se nessuno vi fosse. Nessuno v’essendo, si volse a cercar coll’occhio il sentiero che aveva percorso la sera antecedente; lo riconobbe tosto, più chiaro e più distinto dell’immagine che glie n’era rimasta; e si mise per quello.
Il cielo annunziava una bella giornata: la luna in un canto, pallida e senza raggio, pure spiccava nel campo immenso d’un bigio ceruleo, che giù giù verso l’oriente, s’andava sfumando leggiermente in un giallo rosato. Più giù presso l’orizzonte, si stendevano, a lunghe falde ineguali, poche nuvole, più tosto azzurre che brune, le più basse orlate al di sotto d’una striscia quasi di fuoco, che ad ora ad ora si faceva più viva e tagliente: da mezzogiorno altre nuvole ravvolte insieme, leggieri e soffici, per così dire, si andavan lumeggiando di mille colori senza nome: quel cielo di Lombardia, così bello quando è bello, così splendido, così in pace. Se Renzo si fosse quivi trovato per suo divertimento, certo avrebbe guardato in su e ammirato quell’albeggiare così diverso da quello che era uso vedere nei suoi monti; ma guardava alla terra, e ne