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grave, quell’andare alla ventura, cercando, come si dice, a naso, un luogo di riposo, e di sicurezza.
Quando s’abbatteva a passare per qualche paese, andava cheto cheto; però guardando se qualche porta fosse ancora aperta; ma non vide mai altro segno di gente desta, che qualche lumicino trasparente da qualche impannata di finestra. Nella via fuor dell’abitato, si soffermava a ogni tanto, stava cogli orecchi levati se sentisse quella benedetta voce dell’Adda; ma invano. Altre voci non sentiva che un uggiolar di cani, che veniva da qualche cascina isolata, vagando per l’aria, querulo a un tempo e minaccioso. Al suo avvicinarsi a qualcheduna di quelle, l’uggiolare si cangiava in un latrar concitato, iracondo: al passar dinanzi alla porta, udiva, vedeva quasi il bestione col muso al combaciamento delle imposte, addoppiar gli urli: il che gli faceva andar via la tentazione di bussare e di chieder ricovero. E fors’anche, se cani non vi fossero stati, non gliene avrebbe dato il cuore. — Chi è là?— pensava egli: — che volete a quest’ora? Come siete venuto qui? Fatevi conoscere. Non c’è osterie da albergare? Ecco quello che mi domanderanno, al meglio che possa andare, se picchio: quand’anche