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d’andare; e piano piano, zufolando in semituono, arriva alla porta. V’era, proprio sul passo, una frotta di gabellieri, e per rinforzo, anche un drappello di micheletti spagnuoli; ma stavan tutti coll’arco teso verso il di fuori, per non lasciar entrare di quelli che, alla novella d’un trambusto, v’accorrono come i corvi al campo dove è stata data battaglia; talchè Renzo, minchion minchione, cogli occhi bassi, con un andare così tra il viaggiatore e il passeggiante, passò la soglia, senza che nessuno gli dicesse nulla; ma il cuore di dentro faceva un gran battere. Veggendo a dritta un viottolo, entrò in quello, per evitare la strada maestra; e andò un pezzo prima di pur guardarsi dietro le spalle.

Va e va; trova cascine, trova villaggi, tocca innanzi senza domandarne il nome: è certo di allontanarsi da Milano, spera di andar verso Bergamo; tanto gli basta per ora. Di tempo in tempo si volgeva indietro, e andava anche guardando e soffregando or l’uno or l’altro polso ancora un po’ indolenziti, e segnati in giro d’una striscia rosseggiante, vestigio della funicella. I suoi pensieri erano, come ognuno può immaginarsi, un guazzabuglio di pentimenti, di repetii, d’inquietudini, di rancori, di tenerezze; era uno studio faticoso