che già teneva, ne prese un secondo e lo pose nell’altra, un terzo e cominciò a mangiare, e si rimise in via più incerto che mai e desideroso di chiarirsi che storia fosse quella. Appena mosso, vide spuntar gente che veniva dall’interno della città, e adocchiò attentamente quei che apparivano i primi. Erano un uomo, una donna, e qualche passo indietro un ragazzotto, tutti e tre con un carico addosso che pareva superiore alle forze loro, e tutti e tre in una figura strana. L’abito o la cenceria infarinata; infarinate le facce, e per sopra più stravolte e accese; l’andare non solo faticoso per lo peso, ma doglioso, come di membra peste e ammaccate. L’uomo reggeva a stento in collo un gran sacco di farina il quale, bucato qua e là, ne lasciava sfuggirà qualche sprazzo ad ogni intoppo, ad ogni mossa disequilibrata. Ma più sconcia era la figura della donna: un corpaccio smisurato, e due braccia allargate che parevano sostenerlo a fatica, e avevano figura di due manichi curvati dal collo alla pancia d’un’anforaccia; e di sotto a quel corpaccio uscivano due gambe nude fin sopra il ginocchio, che procedevano barcollando. Renzo guardò fiso e vide quel gran corpo essere la gonnella che la donna teneva rivolta in su, con entro farina