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orientale. Non bisogna però che a questo nome il lettore si lasci correre alla fantasia le immagini che ora vi sono associate: quell'ampia e dritta, strada fiancheggiata di pioppi, al di fuori; quel varco spazioso tra due fabbriche cominciate, se non altro, con pretensione; nel primo ingresso quelle due salite laterali allo spalto dei bastioni, inclinate regolarmente, spianate, orlate d’alberi; quel giardino da una parte, più in là quei palazzi a destra e a sinistra della gran via del borgo. Quando Renzo entrò per quella porta, la via al di fuori andava diritta per tutta la lunghezza del Lazzaretto, che per quel tratto non poteva far di meno; poi scorreva, sghemba e stretta fra due siepi. La porta consisteva in due pilastri con sopra una tettoia per riparare le imposte, e dall’un lato una casipola pei gabellieri. Le imboccature dei bastioni scendevano in pendìo irregolare, e lo spazzo era una superficie aspra e ineguale di rottami e di cocci gittati a caso. La via del borgo che si apriva dinanzi a chi entrava per quella porta, non si assomiglierebbe male a quella che ora s’affaccia a chi entri per la porta Tosa. Un fossatello le scorreva nel mezzo fino a pochi passi dalla porta, e la partiva così in due stradette tortuose, coperte di polvere o di fan-