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Venne intanto la colezione, la quale non interruppe il discorso d’un affare di quella importanza. Il conte Attilio ne parlava a cuor libero, e sebbene vi prendesse quella parte che richiedevano la sua amicizia pel cugino e l’onore del nome comune, secondo le idee ch’egli aveva di amicizia e di onore, pure tratto tratto non poteva tenersi di trovare un po’ da ridere nella mala ventura dell’amico parente. Ma don Rodrigo che era in causa propria e che, pensandosi di far chetamente un gran colpo, l’aveva fallito con istrepito, era agitato da passioni più gravi, e distratto da pensieri più noiosi. “Di bei chiacchieramenti,” diceva egli, “faranno questi mascalzoni in tutto il contorno. Ma che m’importa? Quanto alla giustizia, me ne rido: prove non ce n’è; quando ce ne fosse, me ne riderei egualmente: a buon conto ho fatto stamattina avvertire il console che si guardi bene di far deposizione dell’avvenuto. Non ne seguirebbe nulla; ma le chiacchiere quando vanno in lungo mi seccano. Basta bene ch’io sia stato burlato così barbaramente.”

“Avete fatto benissimo,” rispondeva il conte Attilio. “Codesto vostro podestà..... gran caparbio, gran testa busa, gran seccatore d’un podestà.... è poi un galan-