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badessa, la maestra lo imitava lungamente, e ne faceva una scena di commedia; contraffaceva il volto di una monaca, il portamento d’un’altra: rideva allora sgangheratamente; ma erano risa che andavano poco in giù. Così era ella vissuta alcuni anni, non avendo agio nè occasione di far di più; quando la sua sventura volle che una occasione si presentasse.

Fra le altre franchigie e distinzioni che le erano state accordate per compensarla di non poter essere badessa, v’era anche quella di alloggiare in un quartiere a parte. Quel lato del monastero era contiguo ad una casa abitata da un giovane scellerato di professione, uno dei tanti che in quell’epoca, e coi loro scherani, e con le alleanze di altri scellerati, potevano fino ad un certo segno ridersi della forza pubblica e delle leggi. Il nostro manoscritto lo nomina Egidio, senza più. Costui da una sua finestretta che dominava un cortiletto di quel quartiere, avendo veduta Gertrude alcuna volta passare o ronzare quivi per ozio, allettato anzi che atterrito dai pericoli e dalla empietà dell’intraprendimento, un giorno osò rivolgerle la parola. La sventurata rispose.

In quei primi momenti provò ella un con-