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a quelle fuggitive compiacenze, senza che tosto non le si affacciassero i dolori presenti che ne erano la conseguenza, cominciò a poco a poco a tornarvi più di rado, a rispingerne la rimembranza, a divezzarsene. Nè più a lungo o più volentieri si fermava in quelle liete e splendide fantasie d’una volta: erano troppo opposte alle circostanze reali, ad ogni probabilità dell’avvenire. Il solo castello nel quale Gertrude potesse immaginare un rifugio tranquillo e onorevole, e che non fosse in aria, era il monastero, quando ella si risolvesse di entrarvi per sempre. Una tale risoluzione (ella non poteva dubitarne) avrebbe racconciato ogni cosa, saldato ogni debito, e cangiata in un attimo la sua situazione. Contro questo proposito insorgevano è vero i pensieri di tutta una età: ma i tempi erano mutati; e nel fondo in cui Gertrude era caduta, e al paragone di ciò che poteva temere, in certi momenti la condizione di monaca festeggiata, ossequiata, obbedita, le pareva uno zucchero. Due sentimenti di ben diverso genere contribuivano pure per intervalli a scemare quella sua antica avversione: talvolta il rimorso del fallo, ed una tenerezza fantastica di divozione; talvolta l’orgoglio amareggiato ed irritato dai modi della carceriera, la quale (spesso, a dir