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Era essa l’ultima figliuola del principe ***, un gran gentiluomo milanese, il quale poteva contarsi fra i più doviziosi della città. Ma il concetto indefinito ch’egli aveva del suo titolo gli faceva parere le sue sostanze appena sufficienti, scarse anzi a sostenerne il decoro; e tutte le sue cure erano rivolte a conservarle, almeno quali erano, unite in perpetuo, per quanto dipendeva da lui. Quanti figliuoli egli s’avesse non appare chiaramente dalla storia; si rileva soltanto ch’egli aveva destinati al chiostro tutti i cadetti dell’uno e dell’altro sesso, per lasciare intatta la sostanza al primogenito, destinato a perpetuare la famiglia, a procreare cioè dei figliuoli, per tormentarsi e tormentarli nello stesso modo. La nostra infelice stava ancora nascosta nel ventre della madre, che la sua condizione era irrevocabilmente stabilita. Rimaneva soltanto da decidersi s’ella sarebbe un monaco o una monaca; decisione per la quale faceva mestieri, non il suo assenso, ma la sua presenza. Quando ella comparve, il principe suo padre, volendo darle un nome che risvegliasse immediatamente l’idea del chiostro, e che fosse stato portato da una santa di alti natali, la chiamò Gertrude. Bambole vestite da monaca furono i primi balocchi che le si posero fra le mani;