Pagina:I promessi sposi (1825) I.djvu/260


253

istantanea d’un odio invecchiato e compresso, d’un non so quale talento feroce: quando restavano immobili e fissi senza attenzione, altri vi avrebbe immaginata una svogliatezza orgogliosa, altri avrebbe potuto sospettarvi il travaglio d’un pensiero nascosto, la sopraffazione di una cura famigliare all’animo e più forte su quello che gli oggetti circostanti. Le guance pallidissime scendevano con un contorno delicato, ma soverchiamente scemo e alterato da una lenta estenuazione. Le labbra, quantunque appena suffuse d’un roseo dilavato, spiccavano pure in quel pallore: i loro moti erano, come quelli degli occhi, subitanei, vivi, pieni di espressione e di mistero. L’altezza ben formata della persona scompariva nella cascaggine abituale del portamento, o compariva sfigurata in certe mosse repentine, irregolari e troppo risolute a donna non che a monaca. Nel vestire stesso v’era qua e là qualche cosa di studiato o di negletto che annunziava una monaca singolare: la vita era succinta con una certa industria secolaresca, e dalla benda usciva su una tempia l’estremità d’una ciocchetta di neri capegli, il che mostrava o dimenticanza o disprezzo della regola che prescriveva di tener sempre mozze le chiome recise nella cerimonia solenne della professione.