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guardò colà, e avvisò un pertugio quasi quadrato, somigliante a una mezza finestra, sbarrato da due grosse e fitte grate di ferro, distanti l’una dall’altra un palmo; e dietro quelle una monaca in piedi. Il suo aspetto, che mostrava un’età di venticinque anni, dava a prima giunta una impressione di bellezza, ma d’una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, sconcertata. Un velo nero sospeso e stirato orizzontalmente sopra la testa, cascava, a dritta e a manca, discosto alquanto dal volto; sotto il velo, una bianchissima benda di lino cingeva fino al mezzo una fronte di diversa, ma non d’inferiore bianchezza; un’altra benda a pieghe circondava la faccia, e terminava sotto al mento in un soggolo, che si stendeva alquanto sul petto a coprire l’imboccatura di un nero saio. Ma quella fronte si raggrinzava tratto tratto, come per una contrazione dolorosa; e allora due sopraccigli nerissimi si ravvicinavano, con un rapido movimento. Due occhi pur nerissimi s’affissavano talora in volto altrui con una investigazione superba, talora si chinavano in fretta come per cercare un nascondiglio; in certi momenti, un attento osservatore avrebbe argomentato che domandassero affezione, corrispondenza, pietà; altra volta avrebbe creduto cogliervi la rivelazione