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“L’avrete inteso dire, sono ammalato, e non so quando potrò lasciarmi vedere..... Ma perchè vi siete tirato dietro quel...... quel figliuolo?”

“Così per compagnia, signor curato.”

“Basta, vediamo.”

“Sono venticinque berlinghe nuove, di quelle col sant’Ambrogio a cavallo,” disse Tonio, cavandosi un gruppetto di tasca.

“Vediamo,” replicò don Abbondio: e preso il gruppetto, si rimesse gli occhiali, lo spiegò, cavò le berlinghe, le volse, le rivolse, le noverò, le trovò irreprensibili.

“Ora, signor curato, mi darà la collana della mia Tecla.”

“È giusto,” rispose don Abbondio: e andò ad un armadio, e cacciata una chiave, guardandosi intorno come per tener lontani gli spettatori, aperse una parte d’imposta, riempì l’apertura colla persona, introdusse la testa per guardare, e un braccio per ritirare il pegno; lo ritirò, chiuse l’armadio, svolse il cartoccino, disse: “va bene?” lo ripiegò, e lo consegnò a Tonio.

“Ora,” disse questi, “si contenti di mettere un po’ di nero sul bianco.”

“Anche questa!” disse don Abbondio: “le sanno tutte. Ih! com’è divenuto sospettoso il mondo! Non vi fidate di me?”