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lasciar credere, era un panegirico in onore di San Carlo, detto con molta enfasi, e udito con molta ammirazione nel duomo di Milano due anni prima. Il santo vi era paragonato, per l’amore dello studio, ad Archimede; e fin qui don Abbondio non trovava inciampo; perchè Archimede ne ha fatte di così belle, ha fatto dir tanto di sè, che per saperne qualche cosa, non è mestieri d’una erudizione molto vasta. Ma dopo Archimede, l’oratore chiamava a paragone anche Carneade: e quivi il lettore era rimasto arrenato. In questa, Perpetua annunziò la visita di Tonio.

“A quest’ora?” disse anch’egli don Abbondio, com’era naturale.

“Che vuol ella? Non hanno discrezione: ma se non lo piglia al volo...

“Se non lo piglio ora, chi sa quando lo potrò pigliare. Fatelo venire..... Ehi! ehi! siete poi ben sicura che sia egli, Tonio?”

“Diavolo!” rispose Perpetua; e scese, aperse la porta, e disse: “dove siete?” Tonio si mostrò; e in quella si mostrò pure Agnese, e salutò Perpetua per nome.

“Buona sera, Agnese,” disse Perpetua: “donde si viene a quest’ora?”

“Vengo da....” e nominò un paesetto vicino. “E se sapeste....” continuò: “mi sono indugiata appunto in grazia vostra.”